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Premio Lions 1965 – GIORGIO CAPRONI


Livorno, quando lei passava, d’aria e di barche odorava

Giorgio Caproni, nasce a Livorno il 7 gennaio 1912, figlio di Attilio, ragioniere e di Anna Picchi, sarta e ricamatrice, l’Annina tanto amata e cantata nella sua raccolta di poesie più famosa Il Seme del Piangere.

Vive nella nostra città fino al 1922, quando la famiglia si trasferisce per ragioni di lavoro a Genova, ove Caproni cresce e studia, seguendo dapprima corsi di violino e conservatorio ed esercitando anche l’attività di violinista in vari complessi ed orchestre, poi conseguendo privatamente l’abilitazione magistrale.

Sempre a Genova scrisse i suoi primi versi, a partire dal 1932, pubblicando le prime raccolte Come un’allegoria (1936) e Ballo a Fontanigorda (1938), seguite poi da Finzioni (1941), Stanze della funicolare (1952), Il Passaggio di Enea (1956) ed altre ancora, fra cui Il muro della terra (1975), con cui vinse numerosi premi.

Per molti anni maestro elementare, dal 1939 visse con la moglie Rina a Roma, dove collaborò a diversi giornali e riviste con le sue poesie ma anche con saggi critici, racconti e traduzioni (specie dal francese, fra le quali si ricordano quelle di Il tempo ritrovato di Proust, Morte a credito di Céline, Bel Ami di Maupassant).

A Roma è deceduto il 22 gennaio 1990.

A Livorno fu insignito, oltre che del Premio Lions, per “la coerenza nell’arte e nella vita, la limpidezza nella vena poetica….l’amore per la città natale che fa da sfondo alle sue liriche più belle” (dalla motivazione), anche della “Livornina d’oro”, premio conferito dal Comune di Livorno ai cittadini illustri.

Ed in effetti la nostra città, vissuta dal poeta nella sua infanzia, “anni di lacrime e miseria nera” come ebbe a dire, è parte essenziale, spazio e tempo mitico delle poesie di Caproni, in cui si muove l’amata madre Annina “Non c’era in tutta Livorno/ un’altra di lei più brava/ in bianco, o in orlo a giorno./ La gente se l’additava” (La gente se l’additava), che quando passava “Sull’uscio dello Sbolci/ un giovane dagli occhi rossi/ restava col bicchiere/ in mano, smesso di bere.” (Quando passava).

Dirà di Livorno: “Esisterà sempre, finché esisto io, questa città, malata di spazio nella mia mente, col suo sapore di gelati nell’odor di pesce del Mercato Centrale lungo i fossi e con l’illimitato asfalto del Voltone (un’ellisse contornata di panchine bianche e in mezzo due monumenti alle cui grate di ferro sul catrame io potevo vedere, sotto il piazzale immenso schiacciando ad esse il viso fino a sentire il sapore invernale del metallo l’acqua lucidamente nera transitata dai becolini pieni di seme di lino“.