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Premio 1975 – Galliano Masini


Da veri livornesi anche i due maggiori protagonisti musicali cittadini, Mascagni e Masini, inizialmente non s’intesero. Era la fine del 1926 ed il tenore a Firenze cantò ne L’amico Fritz sotto la direzione dell’autore ma, per la cattiva stella della partner, Mascagni dichiarò di rinnegare il giudizio espresso cinque anni prima quando ad una sua Lodoletta, lo stornello che l’anonima voce di Masini fuori scena intonò aveva suscitato il suo plauso sentenziando “Sarebbe un delitto non farlo studiare”. Solo 8 anni dopo a Noto (SR) revisionò il proprio giudizio su Masini per l’Andrea Chénier che fu particolarmente brillante in ragione di un Galliano in forma smagliante: Mascagni si recò in camerino a salutare il concittadino e da quel momento la collaborazione fra i due livornesi ebbe un nuovo inizio con numerosi incontri professionali.

Come noto le polemiche e le battute di Pietro non si contarono ma Galliano non fu da meno.

In una produzione della Lucia di Lammermoor a Roma nel 1930 in cui si era creata notevole antipatia tra lui ed il soprano protagonista (la coetanea spagnola molto in carne), durante una delle recite manipolando un po’ il testo, all’inizio della scena V della I parte, invece che con “Lucia perdona, se ad ora inusitata..” apostrofò la partner con: “Lucia merdona, se ad ora inusitata…”

Nel 1950, l’unica volta che la Callas cantò a Pisa, lo fece con lui e nella rappresentazione pomeridiana domenicale all’inizio del II atto il sipario non si aprì per parecchie ore perchè il Masini, recatosi nel camerino della Callas, le aveva domandato “Ma te l’hanno dato il carbone?” riferendosi al pagamento, e, saputo ch’ella era stata retribuita, s’era infuriato sentenziando “O pagano anche me o Cavaradossi stasera ‘un lo fucilano!”. Pretese tutti i soldi in contanti per cui fu necessario far aprire appositamente la banca e la recita finì alle nove di sera.

Scritturato nella stagione lirica di Bergamo, mentre sostava davanti al Teatro con altri cantanti impegnati come lui, vide avvicinarsi uno strillone con un fascio di giornali sotto il braccio che gridava La Voce di Bergamo e L’Eco di Bergamo. Subito pronto, Masini gli disse “Deh, vieni qui! A me dammi l’Eco, la Voce…” indicando il tenore Tito Schipa (1888-1965) “… dalla a lui!”

Il suo buonumore non crollò nemmeno durante i bombardamenti di Livorno: riparato con la famiglia nel podere di Ardenza, dopo l’8 Settembre venne messo al muro dai tedeschi, ma anche in quella situazione il suo spirito scanzonato non venne meno e, rivolgendosi ad uno dei condannati che gli stava accanto e che non conosceva nemmeno, esclamò “Ho paura che stavolta Cavaradossi non s’alza più”. Riconosciuto dall’interprete, fu liberato col vicino che si era spacciato per suo segretario.

Nato in Via del Leone a Livorno il 7 febbraio 1896 Galliano (Edoardo Mario Dino) Masini dovette il primo nome al Maggiore Giuseppe Galliano che, al comando dei poco più di 1.300 uomini del forte di Macallè, dal 15 dicembre 1895 al 22 gennaio 1896, resistette all’assedio dei 100.000 uomini dell’esercito etiope, per capitolare solo dopo un accordo.

Quintogenito (su 10, di cui 5 sorelle: uno dei fratelli minori (Cesare, 1904-1976) fu a sua volta tenore, pur senza mai uscire dal comprimariato al cognome Masini Sperti) di Menotti (pastaio, nato nel 1864) e Rosa Pera (1866-1951, sposi nel 1887) all’età di 8 anni Galliano abbandonò gli studi per tentare i più disparati mestieri (garzone di gelataio, apprendista fabbro, manovale, venditore ambulante di cocomeri e scaricatore di porto) prima d’iniziare la carriera di cantante dato che aveva in animo di sposare (come poi fece nel 1920) Iole Teresa Guidi, detta Mariina (1896-1974), povera in canna come lui. Alla prima audizione con una compagnia di operette fu bocciato perché dotato di voce voluminosa per il genere leggero.

Intorno ai 18 anni, finalmente, entrò come baritono nella società corale cittadina Costanza e Concordia (continuando a guadagnarsi il pane come scaricatore) con la quale partecipò alla mascagnana Parisina in scena tra il febbraio e il marzo del 1914 al Goldoni, sotto la direzione dell’autore. Ricevendo dai propri conterranei un sostegno anche economico, cominciò a studiare canto nei ritagli di tempo dal lavoro ed apprese le prime nozioni da Angelo Bendinelli (1876-1942), ex tenore di una certa notorietà, ma apparve chiaro che il suo talento naturale non sarebbe approdato a nulla se non si fosse dedicato al canto a tempo pieno.

Al rientro dal servizio militare continuò a cantare nel coro finché, nel 1920, l’indisposizione d’un tenore gli consentì di affrontare la piccola parte nella Lodoletta di cui all’inizio. Il successo fu tale che Masini decise di recarsi a studiare a Milano sotto il maestro Giovanni Laura.

Il debutto ufficiale avvenne il 24 dicembre 1924 nella Tosca di Puccini al Goldoni: il successo scatenò l’entusiasmo, dando vita a un rapporto d’affetto che sarebbe rimasto un unicum nelle vicende canore di Livorno nonostante i molti cantanti d’opera che già vi avevano visto la luce, dal tenore Tacchinardi ai baritoni Delle Sedie ed Ancona. A questo affetto si lega l’aneddoto forse più umano della vita del tenore: presentatosi al teatro come suo padre e sentitosi rispondere che ci voleva il biglietto, Menotti disse che sarebbe andato in camerino ed avrebbe portato il figlio!

Alla fine del 1926, nonostante alcuni infortuni dovuti alla bronchite cronica contratta negli anni di studio a Milano, si guadagnò rapidamente la stima di compositori e direttori d’orchestra come Zandonai, Marinuzzi e, soprattutto, Giordano per la “preziosità del metallo vocale, la lucentezza della zona acuta, la virilità dell’espressione” (Galliano Masini di Fulvio Venturi, 2007).

Impressionato dal modo con cui interpretava il suo Andrea Chénier, Giordano lo convinse a studiare l’altra sua opera Fedora, sperando di risollevar le sorti di un lavoro la cui popolarità era tramontata: dal 1930 l’opera tornò in repertorio grazie al Masini che aveva trovato nel protagonista uno dei personaggi più congeniali. Alla prima prova della famosa romanza «amor ti vieta», asciugandosi le lacrime l’autore esclamò: “Con la sua voce, mi ha riportato con la mente e con il cuore ai bei tempi di Caruso”.

Pur restando in secondo piano rispetto a Gigli e Lauri-Volpi, i due divi del firmamento tenorile dell’epoca, nel 1928 Masini ottenne anche il 1°contratto estero con La bohème di Puccini a Lisbona.

Il sodalizio con Zandonai lo condusse a prodursi a Genova il 15 febbraio 1929 ed a Pisa il 13 marzo di quello stesso anno: fu l’inizio della grande stagione che a novembre aggiunse alle sue referenze il Teatro Adriano di Roma.

Nel 1930 durante le prove della nuova opera di Marinuzzi Palla de’ Mozzi Mascagni, presente a Milano per dirigervi Cavalleria, avrebbe voluto il giovane tenore come Turiddu, stante l’affaticamento del titolare ma Marinuzzi, che aveva fatto scritturare Masini perché gli fosse affidata la parte di Signorello nella prima rappresentazione assoluta della nuova opera, però, fu inamovibile e non volle cedere il cantante. Palla de’ Mozzi andò in scena il successivo 5 aprile sotto la direzione dell’autore che rilasciò lusinghieri attestati e per Galliano Masini iniziò un periodo durante il quale partecipò pure a molte prime rappresentazioni assolute.

Presente al Teatro dell’Opera di Roma ed a Buenos Aires (Cavalleria rusticana il 25 maggio 1930, poi anche nel ’31, ’40 e ’47), approdò successivamente alla Scala nel 1932, nello stesso anno iniziò l’attività discografica e nel 1935 fu scritturato a Vienna ed a Budapest: ciò gli valse una riconferma per la stagione estiva viennese, durante la quale nella parte di Radamès in Aida ottenne unanimi consensi dando il via a una serie che fino al 1949 lo avrebbe visto nel personaggio in altri 30 teatri. Nel’estate 1935 debuttò anche in Arena, a Verona, con Cavalleria e l’anno successivo vi cantò Aida, esperienza ripetuta dieci anni dopo, inaugurando la prima stagione areniana del dopoguerra. Poi Metropolitan di New York, Parigi e Chicago.

A New York, all’entrata nel primo atto la famosa frase “Lucia perdona…” suscitò dall’ampia sala un “Oh” di meraviglia che poco dopo si tramutò in entusiasmo perché il pubblico, dopo la scomparsa di Caruso, non aveva ascoltato una voce tenorile così pura e così bella. Fu una serata memorabile che si ripeté con altrettanti successi nelle recite seguenti anche con altre opere. Ad una delle recite fu presente la grande attrice Emma Gramatica (1874-1965) la quale, impressionata dal comportamento del tenore, avvicinatasi al suo segretario, domandò quali studi avesse condotto per caratterizzare così bene il personaggio di Edgardo. “Chi? Lui?” rispose l’interpellato con grande impaccio “Se a malapena sa leggere e scrivere!” La buona signora, a questa risposta imprevista, pensò un poco e poi: “Capisco. Vuol dire che in lui, quando è sul palcoscenico, rivive lo spirito di un grande artista del passato”.

A Chicago ottenne il maggior successo della carriera in Tosca quando, non essendo permesso in quel Teatro lì bissare, arrivò la polizia e la mattina dopo tutti i giornali scrissero di come il tenore fosse stato costretto a chiudere tardissimo.

Alla fine degli anni trenta scoprì e stimolò a studiar canto lo scaricatore di porto Luciano Virgili (1922-1986) che da lì in poi lo chiamo zio, mentre Masini fu scoperto dal cinema che ne apprezzò il volto ruvido e penetrante, offrendogli una partecipazione nel film Regina della Scala del 1936 col soprano Margherita Carosio, cui seguì, due anni dopo, un ruolo da protagonista in Stella del mare. Con i proventi si fece costruire un villino all’angolo fra Via don Bosco e Via Derna di fronte ai Salesiani.

Nel dopoguerra il nostro diradò gli impegni, ma rimase comunque sulla breccia ancora a lungo, tanto che, il 16 aprile 1955, dopo aver tentennato, si decise a debuttare nell’Otello a Livorno. Si ritirò definitivamente dalle scene due anni dopo, cantando per l’ultima volta il 27 e il 28 giugno 1957, sempre a Livorno, nella Tosca e nei Pagliacci.

Chi era stato definito dal pisano Titta Ruffo la voce d’oro del novecento, si spense il 15 febbraio 1986 lasciando il figlio Sergio (1921-2000) ed i due nipoti Mauro e Stefania.

In Spagna un pasticcere gli aveva dedicato un dolce chiamandolo Tarta Massin“, mentre a Barcellona, nel popolare quartiere in cui gioca il Barsa, gli dedicarono pure una strada: calle Tenor Masini. Agli inizi degli anni ’70 a Livorno nacque la prima associazione in suo onore, a cui se ne aggiunse ben presto un’altra e nel 1995 le due compagini si unirono con sede in P. Manin, mentre in V.le Risorgimento, davanti al suo ex villino, c’è il Parco Comunale Galliano Masini.

In occasione di una delle tante trasferte fuori di Livorno, si avvicinò a lui un giovane timido il quale, non sapendo come chiedere un autografo, balbettò Scusi cavaliere. Masini lo guardò tra il burbero ed il faceto e poi rispose ”Senti! O dammi del mio, o chiamami Galliano”. L’aveva detto un tipo che si era esibito in 46 diverse opere di 25 autori diversi in più di 450 rappresentazioni sotto più di 110 direttori con quasi 200 cointerpreti in molte decine di teatri diversi in due continenti